lunedì 29 agosto 2011

Come trovare nel modo giusto l'uomo sbagliato

  • Questa sera 29 agosto 2011, Cinema Admiral di Piazza Verbano.
  • Spettacolo delle 8,30.
  • In sala siamo in quattro...
 


Assalita da un'apatia da blog e con una lista di recensioni da fare che non finiscono più tra cui i deliziosi pinguini di Mr. Popper mi trovo invece a scrivere del film visto stasera. Perché io alla fine sono buona e voglio preservare i miei lettori dallo sperpero immotivato anche solo di euri sette virgola cinquanta, che potrei elencare dieci cose in cui investire meglio di questo film, se così lo vogliamo chiamare.
Dispiace per la sempre carina Francesca Inaudi,  spettinata a cazzo (decisamente una tipa da capello corto) e malvestita da incarcerare la costumista. Dispiace per Silvestrin che è come er vino bono, più inveccchia e più migliora. Ma più ancora dispiace per me stessa... un obrobrio simile scavalca improvvisamente tutta una serie di cagate pazzesche di provenienza italiana viste negli ultimi anni.
Il solito gruppetto di amiche, imprescindibile da Sex and the city in poi, alle prese con la ricerca dell'amore... abbiamo una zoccola, una frustrata e una tendezialmente frigida, praticamente Samantha, Miranda e Charlotte.
Il primo appunto è ad una fotografia di una sciattezza così specifica da non poterla nemmeno poterla paragonare ai porno amatoriali che potrebbe girare il portiere del palazzo di fronte. Montaggio come la pettinatura della Inaudi, dialoghi da prendere lo sceneggiatore per un orecchio e dargli una raffica di legnate sui denti.
Ci si chiede chi possa credere in un tale progetto, chi possa leggere il copione e dire "sìììììììì!!!!!!!!!". Dovrebbero dare l'embargo al cinema italiano per colpa di film come questo.
Non ci viene risparmiato nulla, la telecamera che gira intorno al tavolo, le zummate con la messa a fuoco approssimativa, le voci che si sovrappongono per dare il senso della naturalezza del dialogo, i marchi della Fiat in primo piano così come quelli degli sponsor tra cui il centro di equitazione Asper. Cioè si sono attaccati a tutto... pure al centro di equitazione.... 'na tristezza.
Storia prevedibile e didascalica che non manca di mostrare aspetti "educativi" quali una donna incinta di due gemelli che si fa le canne, due stordite sempre da canne alla guida della macchina...
Insomma una trasgressione da due lire ma comunque triste e immotivata.
Senza senso la divisione in capitoli riguardanti i cavalli, parecchi controsensi come se nessuno si fosse preso la briga di rileggere la sceneggiatura. La Inaudi all'inizio dichiara di odiare il calcio e poi si scopre che è una tifosa di Baggio. Ma questo è niente... forse per capire veramente il basso livello della pellicola bisognerebbe vederla ma direi che potete lasciar perdere e fidarvi di me!
Messaggio per mio fratello: sì... si vedono le tette della Inaudi.

Amiche? Ricerca dell'amore? Mah... recuperiamo Gli uomini preferiscono le bionde, cazzo foss'anche solo per trovare ispirazione...

domenica 14 agosto 2011

Festiva di Locarno 2011: Low life / Sette opere di misericordia / The policeman

  • Locarno 8 agosto 2011, Festival.. tra il Fevi e l'ex Rialto, il tempo ci da tregua...
Low life


Se sulla carta Low life poteva avere qualche chance di sembrare interessante a qualche minuto dall'l'inizio si rivela nella sua più totale pretenziosità. Film realizzato da ben due registi (con poca capacità comunicativa tra di loro oltre che con il pubblico) che  si sono dati manforte nell'indugiare inutilmente in una storia a dir poco sconclusionata.
Moralmente Low life vince l'Ernia di marmo, celebre premio metaforico assegnato da pubblico che si ritrova affetto da questa patologia dopo la visione.
Si bazzicano ambienti giovanili, pseudo universitari il cui unico impegno politico si esprime occupando appartamenti. Ovviamente ciò si evince dal catalogo ufficilae del festival in cui il film è presentato con la didascalia "L'amore ai tempi dello squat". Per quel che mi riguarda potevano anche pagare affitti da 1000 euro.
L'incipit è da crisi isterica... i giovani disadattati si esprimono in versi. Mi tramuto in un'attrice del cinema muto, mi metto le mani tra i capelli, la bocca distorta in una smorfia, gli occhi allucinati... Un urlo interiore mi dilania... nooooooo..... in versi non ce la posso fare!!!!
Ma la mattina, vista l'esperienza del panino stantio del giorno prima, ho saccheggiato una COOP locarnense e ho lo zaino pieno di prelibatezze: dolcetti al limone bio, fagottini di pera e cioccolato, crostata Linzertorte, cracker al sesamo e pure una pesca, che però non ce la siamo mai mangiata e credo che sia tornata coraggiosamente con noi a Roma.
Sfogo la mia disperazione sul cibo e in effetti il prelibato dolcetto al limone mi calma la crescente voglia di insultare, ogni volta che lo incrocio, Olivier Père, il suadente patron del festival.
Dicevo... studenti e appartamenti occupati, poi un poeta afghano.
E qui potrei chiudere il discorso... un poeta afghano... Un poeta afghano e clandestino. Si riesce ad immaginare qualcosa di più intrinsecamente palloso?
La bella del gruppo si innamora senza un vero perché e il suo capelluto lacché si rosica l'anima.
Quest'amore non porta da nessuna parte e si intreccia con le vicende di un gruppo di clandestini di colore che fanno fatture a danno dei poliziotti che cercano di rimpatriarli. Parole, parole, parole.... ciondolamenti, discorsi troncati a metà o forse ancora prima di iniziare, movimenti di camera che avrei potuto fare un set di presine bicolori all'uncinetto per le pentole. Il film sembra non finire mai, l'effetto dolcetto al limone comincia a svanire e rinasce la voglia di  prendere i protagonista a schiaffi i  a due a due fino a che non diventano dispari.
Alla fine, incomprensibilmente, applausi.
Scopriremmo poi che si applaude a tutto anche se si proiettasse il filmino delle vacanze a Milano Marittima della celebre casalinga di Voghera.



The Policeman

Film israeliano e come tale interpretato da israeliani. Questo è un dato importante perché gli israeliani sono tra gli uomini più fighi che esistano. Cioè, zitti zitti, questi sono passati dal rappresentare il cliché dell'ebreo col naso adunco, un po' curvo, magro e occhialuto a dei pezzi di uomini che, anche senza volerlo, fanno venire la bava alla bocca. Il policeman non fa eccezione e sebbene indossi la divisa, come si evince dal titolo, sta giustamente a torso nudo, mostrando generosamente i pettorali scolpiti.
Gradasso, un po' superficialotto, donnaiolo e interessato solo a sé stesso nonostante la paternità incipiente il poliziotto passa le sue giornate tra lavoro e amici. Amici tutti belli come lui, con cui c'è un cameratismo fisico che da un momento all'altro ci si aspetta che tutto si trasformi in un gay movie di qualità. Invece no... quest'omosessualità latente se la tengono dentro tutti quanti, poi, alla fine del primo tempo, manco fosse "Dal tramonto all'alba" si cambia completamente registro e si passa al ritratto un gruppo di giovanissimi terroristi che non sono arabi ma israeliani anch'essi.
Insomma... un po' come è successo in Norvegia... la serpe in seno.
Capeggiati da una ragazza capace di tenerli tutti per le palle, il gruppo di giovani arriverà a mettere in atto il piano messo punto, dopo mesi di addestramento e indottrinamento. Finiranno malissimo proprio per mano del poliziotto e dei suoi colleghi.
Se tutto il film è ben diretto con una bella suspance e anche solo raccontando una storia con un certo savoir faire quello che delude è il finale che lascia senza una vera e propria presa di coscienza, concludendosi alla chetichella senza che i protagonisti chiudano il cerchio delle loro esperienze ed ipotetiche evoluzioni.
Indubbiamente comunque buono il film e boni gli israeliani.


Sette opere di misericordia

I fratelli de Serio hanno scomodato niente di meno che uno dei miei miti personali: Roberto Herlitzka, un attore che ha la capacità di rendere capolvaoro qualunque cosa si lustri della sua presenza.
Purtroppo queste sette opere di misericordia, tra i tanti difetti, hanno anche quello di aver sprecato la presenza di questo straordinario attore e già solo questo sarebbe imperdonabile.
Il presupposto extracomunitario che quest'anno sembra essere il polo attorno al quale ruotano le urgenze di cineasti di ogni luogo e genere, si concentra sull'incontro tra periferia torinese e Romania.
Tra soprusi e abusi dovrebbe esserci una parabola di redenzione che prende forma tra sguardi impercettibili e momenti critici. Nulla da rimproverare al cast, la bella e brava Olimpia Melinte, lo straordinario Herlitzka, come il debutto del ragazzino romeno. Francamente non comprensibili i due camei di Ignazio Oliva e Stefano Cassetti, ridotti a comparse.
Sette opere di misericordia oltre ad aggiudicarsi il premio ex-aequo con low life per l'ernia di marmo è uno di quei casi inspiegabili paradigmatici nel nostro paese di come il cinema si perda in una deriva intellettualoide totalmente precostituita sulla carta ed elaborata esclusivamente nella sua forma tecnico/estetica. Un gran lavoro di macchina da presa volutamente (eccessivamente) lenta in cui lo stilema non fa altro che ripetersi stancamente. La ricerca di una simmetria posticcia non giova poi ad una sceneggiatura ridotta a poche frasi e ad una serie di grugniti.
Fuori tempo massimo l'ennesima suddivisione tramite scritte a tutto schermo che indicano  una ad una le opere di misericordia (alcune delle quali totalemnte stravolte, ma vabbè...).
Un film freddo in cui tutto è guardato attraverso un vetro e non comunica alcun vissuto.
E' stata dura arrivare alla fine e ho meditato realmente di abbandonare il cinema.
L'incontro con i registi dopo il film non ha cambiato la sensazione. Due ragazzi giovani che hanno proclamato di non aver fatto un film religioso ma poi non hanno fatto che citare le sacre scritture, che hanno sottolineato la loro intenzione di ricreare un coté pittorico, citando Caravaggio.
Io ho fatto la mia opera di misericordia mentre ero lì. Mi sono stata zitta e ho evitato di fare domande che inevitabilmente avrebbero portato a chiedere loro cosa li aveva spinti al cinema di finzione (pare che abbiano un passato di doumentaristi) e soprattutto grazie a chi erano arrivati ad avere questa opera prima presentata a Locarno...

Buone le brioche, i dolcetti e anche i panini. Perfetto per una sosta per un pranzo leggero, ottimo per la colazione e la merenda! Nel link trovate descrizione e indirizzi!

sabato 13 agosto 2011

Festival di Locarno 2011: L'arte di amare / Red State

  •  Locarno 7 agosto 2011,  Festival

Primo giorno a Locarno, gli eventi naturali si scatenano. Mai vista così tanta acqua, con così tanta violenza.
Acquisto una mantella con cappuccio per soli 8 franchi, una manna dal cielo.
La Piazza Grande ci è preclusa ma riusciamo a guadagnare il Fevi, mega struttura alternativa alla piazza dove in sequenza ci vediamo L'arte di amare di Emmanuel Mouret e Red State di Kevin Smith.

L'arte di amare, leggerissimo film francese, quasi impercettibile nel suo dipanarsi per momenti paralleli, personaggi magri e vestiti bene, tutti assennati e contenuti anche quando parecchio stralunati. Un film sbrodolato che non riesce a coinvolgere più di tanto ma si lascia vedere come tanti film francesi ricalcati su questo genere, l'eterno conflitto uomo/donna alla ricerca se non dell'amore almeno di un buon sesso.
Il regista che è anche attore si ritaglia un piccolo ruolo.
Voce fuori campo a filosofeggiare, commenti a margine e morale senza un vero perché. Nulla toglie e nulla aggiunge. Vabbè... la prima proiezione è andata, siamo nelle primissime file e la maggior parte del cast è salita sul palco a presentare il film.
Le attrici con poca cura nel vestire,  è evidente come nessuna si sia fatta prestare un Valentino vintage o abbia chiesto a Giorgio Armani di disegnarle al volo un abitino per l'occasione.
La fame è nera, sfido la pioggia per trovare qualcosa da mangiare.
Il bar offre degli orridi panini di pane stantio con un formaggio appena un po' più spesso di una sottiletta . 10 euri due panini, gli pijasse un colpo.
Il masticare pane del giorno prima ci fa giungere ancora viventi ma comunque già sullo zombie andante alla proiezione di Red State... cioè... voglio dire... stiamo parlando di kevin Smith, quello di Clerks.
Il film si apre con una patina anni Settanta che mi fa girare immediatamente i coglioni, pretese tarantinesche trasudano da tutti i pori. Che palle. Nel giro di pochi minuti la trama è in caduta verticale. Monologhi assurdamente lunghi che fanno meditare risoluzioni punitive.
Chissà magari Kevin Smith è tra il pubblico come prima Emmanuel Mouret... Si potrebbe andare a chiedergli il perché di questo scempio.
Ma io sono un'intuitiva e ci vedo tutta la sua mancanza di idee che si concretizza in un riciclo di "genere" per conquistare almeno quel pubblico malato di mente che così tanto apprezza squartamenti e pseudo horror, soprattutto se B-movie.
John Goodman sempre bravissimo, alto livello, ma la storia è un qualcosa di così già visto da essere quasi inguardabile. Un film parecchio brutto anche se a onor del vero sarà iniziato all'una del mattino, in lingua originale con sottotitoli in tedesco. Cazzo ma si possono mettere i sottotitoli in tedesco?
Io il tedesco lo vieterei come lingua figuriamoci i sottotitoli....
Insomma sicuramente mi sarà sfuggito qualcosa ma in definitiva il film è di una noia mortale, privo di una qualsiasi ironia e con un finale degno del nulla che lo ha preceduto. Da dimenticare, da lamentarsi nella notte come se si fosse mangiato un intero pollo coi peperoni.
Per arrivare a casa 25 euro di taxi, limortacci.


sabato 6 agosto 2011

Capitan America

  • Una decina di giorni fa a Porta di Roma

Chissà perché gli uomini di tutte le età e gusti sessuali non possono rinunciare all'ultimo film sul supereroe del momento. E' un'attrazione imprescindibile che non conosce mode ed eccoci quindi in un multisala della periferia romana in coda per Capitan America.
Per un attimo penso al colpo di stato... vai a prendere un caffè, che nel frattempo faccio i biglietti...
Se ci fosse stata un'alternativa si sarebbe anche potuto fare ma così, tra avanzi di stagione di quarta categoria e un Harry Potter di cui non ho nemmeno visto il capitolo precedente tanto vale sottoporsi a Capitan America.
Il film inizia e sento un po' di vociare in sala: "...incredibile il lavoro di grafica computerizzata che hanno fatto per cambiargli il fisico...".
Quindi mi guardo tutto il film pensando che il protagonista sia una specie di sfigatissimo mingherlino al quale aumentino i muscoli al computer.
Quando esce dal sarcofago, dopo il trattamento, penso: "Ehhh ma si vede che è tutto di plastica.... troppo liscio, troppo gonfio...".
Poi scopro che in realtà lui è proprio così e che la modifica gliela avevano fatta quando era una specie di stecco.

Comunque sia Capitan America ha una faccia da cretino, non si può guardare né da mingherlino né da culturista lucido e pompato.
Il film però non è malaccio, con quella patina retrò e una messa in scena non delle più banali.
Certo il mio database interiore continuanebte mi riportava a situazioni già viste e in un paio d'ore mi sono saltati in mente: Dove osano le aquile, Cliffhanger, Inception, Inglorious basterds, i telefilm di Mission Impossible, Satr Wars, X-men e chi ne più ne ha più ne metta che la maggior parte me li sono già scordati...
Perfetti i personaggi di contorno, il matrixiano Hugo Weaving, l'infallibile Stanley Tucci,  Dominic Cooper che buca lo schermo in ognni ruolo... e pure Hayley Atwell, la bellona di turno, col suo rossetto perfetto in ogni inquadratura, è piacevole.
Bella cura nei costumi e nelle scenografie, la storia è quella che è ma ha anche qualche momento ironico tutto sommato godibile!
La consueta scena post titoli ha rasentato il raccapricciante... c'erano proprio tutti, pure quel burino di Thor... Ah santa pazienza!

Segnalo, anche se può sembrare una bestemmia, la pizzeria a taglio del Centro Commerciale di Porta di Roma, Alice pizza point. Ne abbiamo mangiata una montagna gustandola e senza sentirci male!